Descrizione
La polvere riveste i sentieri dove si cammina scalzi, dove c’è un silenzio sonoro di foglie. E così si deposita il senso del tempo nella dura monotonia della boscaglia evanescente dell’altopiano africano, nel suo dissolversi e ricomporsi, tra le ali del tramonto. Il tempo si deposita in granelli, scende verso le radici e poi si solleva nell’aria, nelle radici e nell’aria di tutti.
Negli antichi linguaggi il tempo si nominava come luogo. La strada è una pista, un sentiero, un argine, la rima di una bolgia, una traccia, un cerchio magico di rituali: vi si leggono le orme lasciate dagli antenati insieme ai tank bruciati dell’ultima guerra. Vento nell’imbuto secco dove ha origine il confine, l’idea di confine, nel suo essere invisibile eppure presente. L’origine e il presente dentro l’imbuto secco. Nell’imbuto scorre il sangue del futuro, le genealogie che si fanno umide, trasparenti, veloci, transumanti.
La parola è lì, nella pietra indissolubile e porosa alla lenta erosione dei tempi, vento e pioggia o calunnia dell’uomo. La parola è accolta dal falco e dal vento, si nutre di pensieri inesplicabili, di alfabeti scomparsi, di genealogie perpetue. Eppure è lì, dietro l’ombra di un passo solitario nel deserto di rocce, di murgia e calanchi, traluce al sudore rarefatto di inquieti passanti, nomadi della memoria che sostano nei solstizi invernali.
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