Camillo Tutini
De’ pittori, scultori, architetti, miniatori et ricamatori napolitani e regnicoli
A cura di Laura Giuliano 

Presentazione di FrancescoCaglioti

Matera, Edizioni Giannatelli, 2021

Recensione di Stefano Causa

IL GIORNALE DELL’ARTE NUMERO 425, FEBBRAIO 2022

L’Erudito catalogatore di napoletani e regnicoli

Laura Giuliano ci restituisce l’utilissima compilazione del presbitero seicentesco Camillo Tutini

Quando in un’opera di manutenzione bibliografica sottolineiamo i momenti topici, le riflessioni stimolanti o anche solo gli aspetti brillanti delle ricerche sul Sei e Settecento meridionale stringendo il campo agli ultimi vent’anni, spiccano i contributi sulle fonti artistiche. Questi lavori attestano un corretto passaggio del testimone tra studiosi. Ma nel contempo provano ad affrancare la critica dal tronco di un formalismo di gusto longhiano che è appannaggio di una stragrande minoranza di storici d’arte fuori, ormai, dal tempo e dal coro. Ora si offre agli specialisti della cultura barocca un affondo da parte di Laura Giuliano, curatrice dello storico volume di Camillo Tutini, che ha riguadagnato alle ragioni di un’analisi contestuale un’importante voce seicentesca. Viene percorsa, passo dopo passo, la vicenda di Camillo Tutini, presbitero secolare (1594-1666), che si colloca alla metà del Seicento tra Napoli e Roma sotto i colpi di coda di Bernini e il decollo di un pittore come Luca Giordano. Provetto esploratore dei fatti del Regno, aveva una predilezione per le storie certosine.

Nelle note in stile telegrafico sui maestri napoletani rimbalzano i dialoghi tra competenti e le dritte sparse dei viaggiatori. Non è ancora storia biografica degli artisti, ma già si sente dietro la porta il gran lavoro di Bernardo De Dominici. L’erudito è tra i primi ad accorgersi del grande pittore Francesco Curia e il manipolo di pittori scelto per il primo Seicento inclusi quelli versati in fiori e frutta, è quello su cui conveniamo ancora. Disseppellito da Benedetto Croce, il manoscritto è stato esaminato dai napoletanisti quando, nel dopoguerra, ci si appellava alle fonti poco più e poco meno che come orari ferroviari. Databile negli inoltrati anni 1660, il testo che la Giuliano mette a disposizione nelle tre redazioni autografe, rischia di essere l’anello mancante tra la ricca lettera cinquecentesca del Summonte e il settecentesco De Dominici, che obietterà al presbitero di non poter parlare di pittura non essendo pittore (ma sapeva ricamare di ago e seta e disegnare). In una premessa sobria e appuntita, Francesco Caglioti scorta il lavoro della Giuliano fuori di rada e, in meno di tre cartelle, fa il punto sulla posizione di queste pagine nella filiera della letteratura artistica napoletana.

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